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È bello dare qualcosa in cambio. Lautaro Martínez ha investito 50 milioni di euro per trasformare una casa in un rifugio per giovani senza fissa dimora all’Inter dopo un grave…

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È bello dare qualcosa in cambio. Lautaro Martínez ha investito 50 milioni di euro per trasformare una casa in un rifugio per giovani senza fissa dimora all’Inter dopo un grave trauma personale che ha cambiato per sempre la sua visione della vita e del calcio. Un gesto che va ben oltre le dinamiche del campo, delle partite, delle vittorie e delle sconfitte. Un gesto umano, profondo, radicato nella consapevolezza di quanto il privilegio di essere una star possa anche essere un potente strumento per fare del bene.
Tutto è iniziato un anno fa, quando Lautaro, durante una delle sue visite a un ospedale milanese per bambini, ha incontrato un ragazzo di 17 anni che dormiva in strada e che, pur vivendo tra mille difficoltà, sognava ancora di diventare un calciatore. Si chiamava Karim, era nato a Torino ma cresciuto tra case-famiglia e abbandoni. Aveva occhi vivaci, nonostante la fatica, e parlava del calcio con la stessa passione che Lautaro riconosceva in se stesso da bambino. Quel breve incontro ha lasciato un segno nel cuore del capitano nerazzurro. Nei giorni successivi, Lautaro ha chiesto ai suoi collaboratori di rintracciare il ragazzo. Purtroppo, era già scomparso, inghiottito dalla rete invisibile della marginalità urbana.
Lautaro ha vissuto quei giorni come un fallimento personale. Non riusciva a darsi pace. Si è domandato che senso avesse continuare a segnare gol, sollevare trofei, firmare contratti milionari, se poi nella stessa città in cui brillava c’erano ragazzi come Karim che non avevano neanche un letto. Da quel dolore è nata l’idea. E da quell’idea è nata una struttura. Non un centro d’accoglienza qualsiasi, ma un rifugio vero, una casa viva, accogliente, dove ogni giovane senza fissa dimora potesse trovare un posto sicuro, cibo caldo, un letto pulito e soprattutto una possibilità.
Per concretizzare il progetto, Lautaro ha acquistato un vecchio edificio abbandonato nella zona nord di Milano. Una casa a due piani, con un ampio giardino interno. Il restauro è stato totale: impianti, infissi, arredi, tutto è stato rifatto da zero. Non ha badato a spese. L’investimento è stato di 50 milioni di euro. Non solo per i lavori, ma anche per creare un fondo che garantisca la gestione del rifugio per almeno dieci anni, con personale specializzato, psicologi, educatori, medici e formatori. Il progetto è stato chiamato “Casa Karim”.
L’inaugurazione è avvenuta in sordina, senza conferenze stampa, senza fotografi, senza sponsor. Lautaro non voleva clamore. “Non si tratta di me, si tratta di loro”, avrebbe detto a un amico. Ma la notizia è trapelata e ha iniziato a girare nei corridoi dell’Inter, poi tra i tifosi, poi sui giornali. E per una volta, il gossip si è fatto portatore di una storia buona, di quelle che fanno bene all’anima.
A “Casa Karim” oggi vivono 32 ragazzi tra i 14 e i 22 anni. Alcuni vengono da famiglie distrutte, altri da altri Paesi, giunti in Italia da soli, dopo viaggi lunghi e dolorosi. Ognuno ha un passato complesso, ma a tutti viene data la stessa opportunità: studiare, formarsi, scegliere un percorso. Chi vuole giocare a calcio viene iscritto a una squadra, chi sogna di diventare cuoco o artigiano può seguire corsi professionalizzanti. Nessuno viene giudicato. Nessuno viene lasciato indietro.
Lautaro va spesso a trovarli. Non come celebrità, ma come fratello maggiore. Mangia con loro, scherza, gioca a pallone nel cortile. A volte porta con sé compagni di squadra, anche avversari. Una sera si è presentato con Paulo Dybala, un’altra con Rafael Leão. È convinto che la solidarietà non debba avere colori di maglia. “Quando togliamo la divisa, siamo solo uomini”, ha detto in un’intervista concessa di recente, l’unica in cui ha accettato di parlare del progetto.
Per Lautaro, “Casa Karim” è diventata una seconda famiglia. E in un certo senso, anche una nuova motivazione. Dopo l’apertura del rifugio, il suo rendimento in campo è cambiato. Ha iniziato a giocare con una grinta diversa, più lucida, più consapevole. Ha smesso di arrabbiarsi per un rigore sbagliato o per una sostituzione. “Ci sono cose più importanti”, ha confidato al mister. E i suoi compagni lo hanno seguito. Non solo sul piano emotivo, ma anche sul piano pratico: Dumfries ha donato computer per la sala studio, Acerbi ha coperto i costi di tre borse di studio, Barella ha contribuito al rifacimento del campo sportivo adiacente alla casa.
L’iniziativa ha messo in moto un meccanismo virtuoso. Altri club hanno contattato Lautaro per sapere come replicare il modello. Alcuni comuni hanno chiesto il suo supporto per aprire strutture simili. Anche la Lega Serie A si è mostrata interessata a promuovere “Case Karim” in altre città. Lautaro, tuttavia, resta cauto. “Non voglio che diventi un’operazione d’immagine. Voglio che resti vero. Che nasca da un bisogno reale, da un cuore che decide di dare”.
Forse è proprio questo il segreto di un gesto così potente: la sua autenticità. Lautaro non ha fatto beneficenza, ha fatto famiglia. Non ha donato un assegno, ha donato tempo, idee, affetto. Ha trasformato la frustrazione per un incontro mancato in una casa per tanti incontri possibili. E se oggi Karim fosse ancora in giro, avrebbe un posto dove tornare. Forse un giorno qualcuno busserà alla porta di “Casa Karim” con una valigia in mano e dirà: “Ciao, mi chiamo Karim. Posso entrare?”. E allora tutto avrà avuto davvero senso.
Per ora, il senso lo si coglie nei sorrisi dei ragazzi, nei loro racconti, nei sogni che tornano a nascere. E anche nei silenzi di Lautaro, che preferisce parlare con i fatti. Chi lo conosce sa che questa non sarà l’unica iniziativa del genere. Ha già messo gli occhi su un’altra struttura, in periferia. “C’è spazio per altri sogni”, ha detto, con quella luce negli occhi che non ha mai perso. Quella stessa luce che forse un giorno guiderà altri campioni a fare lo stesso. Perché sì, è bello dare qualcosa in cambio. E quando lo si fa con il cuore, il mondo può cambiare davvero.
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