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Se Cristiano Giuntoli continua così nei confronti di Igor Tudor, le cose andranno male. Igor Tudor ha lasciato un messaggio accorato, dicendo che potrebbe andarsene durante l’estate a causa di…

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Se Cristiano Giuntoli continua così nei confronti di Igor Tudor, le cose andranno male. Igor Tudor ha lasciato un messaggio accorato, dicendo che potrebbe andarsene durante l’estate a causa di divergenze profonde con la dirigenza, di cui Giuntoli è il principale rappresentante. Non si tratta di uno sfogo estemporaneo, né tantomeno di un semplice malumore passeggero: le parole del tecnico croato sono il segnale inequivocabile di una frattura che si sta aprendo sempre di più tra la guida tecnica e il vertice sportivo della società. E quando l’allenatore comincia a dubitare della fiducia nei propri confronti, si entra in una zona grigia dove tutto può succedere, anche l’irreparabile.

Tudor è arrivato in un momento complicato, con una squadra reduce da turbolenze interne, instabilità tecnica e soprattutto un clima difficile, a tratti irrespirabile. Il suo compito era tutt’altro che semplice: ricostruire un’identità, rimettere ordine in un gruppo smarrito e tornare a fare punti, gioco e risultati. In parte ci è riuscito, portando un’idea di calcio concreta, intensa, fondata su disciplina e aggressività, senza però sacrificare la qualità di alcuni interpreti chiave. Eppure, nonostante questo contributo positivo, sembra che la società – o meglio, Giuntoli – non lo abbia mai veramente accettato come proprio allenatore, come uomo su cui costruire il futuro.

È qui che iniziano i problemi. Perché un tecnico, per lavorare bene, ha bisogno prima di tutto di sentirsi sostenuto. Non bastano le parole formali, le interviste di circostanza o gli elogi post-partita: servono segnali concreti, una linea comune nella pianificazione, fiducia nei momenti delicati. E invece, secondo quanto trapela – e anche secondo ciò che Tudor lascia intendere nelle sue recenti dichiarazioni – questi segnali non ci sono stati. Al contrario, ci sono stati silenzi, freddezze, distanze. Tutto il contrario del supporto che un tecnico si aspetterebbe.

Giuntoli è un dirigente esperto, con una carriera solida alle spalle, ma non è esente da critiche. Il suo modo di gestire i rapporti con gli allenatori, già messo in discussione in passato, torna ora sotto la lente d’ingrandimento. Se davvero crede che Tudor non sia l’uomo giusto, allora dovrebbe avere il coraggio e la chiarezza di dirlo apertamente, senza alimentare una situazione di incertezza che rischia di danneggiare l’intera struttura del club. Ma se invece intende proseguire con Tudor, allora è il momento di mostrarglielo con i fatti, coinvolgendolo nelle scelte, proteggendolo pubblicamente, valorizzandone il lavoro.

Le parole di Tudor fanno male, ma forse fanno ancora più male i silenzi di Giuntoli. Non si può pretendere che un allenatore, che ha accettato una sfida rischiosa, che si è esposto, che ha rimesso in sesto una squadra alla deriva, venga poi lasciato solo davanti alle critiche, o peggio ancora, venga messo in discussione proprio nel momento in cui servirebbe continuità. I tifosi lo hanno capito, e non è un caso che una parte consistente della piazza stia iniziando a schierarsi con il tecnico. Perché la gente capisce quando qualcuno ci mette cuore, quando lotta, quando prova a fare il bene della squadra, anche in mezzo alle difficoltà.

Ecco perché, se Giuntoli continua così, le cose andranno male. Male non solo per Tudor, che potrebbe legittimamente scegliere di andarsene e cercare altrove un ambiente più sereno e rispettoso, ma anche per la società stessa, che perderebbe un professionista preparato e determinato, per l’ennesima volta. Sarebbe l’ennesimo segnale di instabilità, l’ennesima conferma che in questo club manca una visione chiara e condivisa. Perché cambiare allenatore ogni pochi mesi non è sintomo di ambizione, ma di disorganizzazione.

Tudor, da parte sua, non è un personaggio facile. È diretto, passionale, a volte ruvido nei modi. Ma è anche uno che dice ciò che pensa, che non si nasconde, che affronta i problemi di petto. E questo può dare fastidio, soprattutto in un contesto dove spesso si preferisce la diplomazia, l’ambiguità, il galleggiamento. Ma se davvero si vuole costruire qualcosa di solido, servono anche personalità come la sua, capaci di dire scomode verità e di fare scelte coraggiose. Mandarlo via – o spingerlo ad andarsene – significherebbe scegliere ancora una volta la strada della superficialità.

Il calcio moderno non è più solo questione di risultati. È gestione, programmazione, comunicazione. Un progetto serio si costruisce partendo da basi solide, tra cui il rapporto di fiducia tra società e allenatore. Se questo rapporto si incrina, tutto il resto viene giù a cascata. E allora non basta un nuovo acquisto, non basta cambiare modulo o sistema di gioco. Serve una vera alleanza, una direzione comune, una compattezza interna che permetta di affrontare insieme anche le tempeste. In questo momento, invece, sembra che tra Tudor e Giuntoli ci siano due mondi separati. E la colpa, almeno in parte, è anche di chi ha il compito di unire, non di dividere.

La prossima estate sarà decisiva. Se la dirigenza continuerà a ignorare le richieste, le perplessità e i segnali di Tudor, sarà difficile pensare a una sua permanenza. E, di conseguenza, sarà difficile pensare a una stagione solida, con fondamenta stabili. Perché ogni allenatore che arriva ha bisogno di tempo, di fiducia, di una squadra costruita a sua immagine. E ogni ripartenza da zero comporta inevitabilmente dei rischi. Forse, però, a Giuntoli non interessa la stabilità: forse preferisce essere l’unico a decidere, ad avere l’ultima parola, anche a costo di bruciare un progetto promettente.

I tifosi, intanto, osservano. Alcuni sono rassegnati, altri arrabbiati, altri ancora sperano in un colpo di coda, in un chiarimento. Ma il tempo passa, e la sensazione è che ogni giorno perso in tensioni interne sia un passo indietro rispetto agli obiettivi. Servirebbe poco per cambiare la rotta: una telefonata, un incontro chiarificatore, una dichiarazione pubblica. Ma servirebbe soprattutto la volontà di costruire, non solo di controllare. Tudor non ha chiesto privilegi, ha chiesto rispetto e ascolto. E quando un allenatore deve arrivare al punto di dichiarare pubblicamente che potrebbe andarsene, vuol dire che quei due elementi stanno venendo meno.

Le prossime settimane diranno molto, forse tutto. Ma se la situazione non cambia, se Giuntoli continuerà a ignorare il grido d’allarme del suo allenatore, allora sì, le cose andranno male. Male per Tudor, male per la squadra, male per il futuro. Perché nel calcio, come nella vita, si può anche sbagliare, ma ignorare i segnali è sempre il peggior errore.

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